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giovedì 16 luglio 2009

VOLTAIRE E LA TRAGEDIA "RIVELATRICE" DEL BELLO

Domandate a un rospo che cos'è la bellezza, il vero bello, il to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina con due grossi occhi tondi che sporgono dalla testolina, un muso largo e piatto, un ventre giallo, un dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea; il bello per lui è una pelle nera, grassa, occhi infossati, un naso schiacciato.
Interrogate il diavolo; vi dirà che il bello è un paio di corna, quattro grinfie e una coda. Consultate infine i filosofi, vi risponderanno con uno sproloquio; hanno bisogno di qualcosa che sia conforme all'archetipo del bello in se, al to kalòn.
Assistevo un giorno a una tragedia accanto a un filosofo. "Come è bella" diceva. "Che cosa ci trovate di bello?", gli chiesi. "E' che l'autore" disse "ha raggiunto il suo scopo", gli dissi "ecco una bella medicina!" Capì che non si può dire che una medicina sia bella, e che per dare a qualcosa il nome di bellezza, bisogna che essa ci susciti ammirazione e piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato quei due sentimenti, e che in ciò stava il to kalòn, il bello.
Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si dava la stessa tragedia, perfettamente tradotta; essa fece sbadigliare tutti gli spettatori. "Toh" disse "il to kalòn non è lo stesso per gli Inglesi e per i Francesi." Dopo molte riflessioni, concluse che il bello è assai relativo, così come ciò che è decente in Giappone è indecente a Roma, e ciò che è di moda a Parigi non lo è a Pechino; e si risparmiò la fatica di comporre un lungo trattato sul bello.
Voltaire, pseudonimo di Francois - Marie Arouet (Tratto da: Dizionario Filosofico)

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