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venerdì 31 luglio 2009

ERASMO DA ROTTERDAM E LA FOLLIA DEL POPOLO

"C'è un tale follemente innamorato di una ragazza che, tanto meno è ricambiato, tanto più si strugge d'amore. Un altro si invaghisce della dote, e non della sposa. Un altro ancora concede divolontà la moglie a un rivale. E un quarto è così geloso da curare la sua donna come il cane Argo. Quest'altro, pur essendo in lutto, ne dice e ne fa di tutti i colori! Ha pagato addirittura un gruppo di attori per recitare un degno compianto. Ec uno lagù, che piange disperato sulla tomba della matrigna. E quest'altro, che ingoia tutto ciò che può e quando ha terminato il suo pranzo ha di nuovo fame! C'è chi non fa che dormire e poltrire. E chi invece suda sette camicie per sbrigare il lavoro altrui e trascura il proprio. Alcuni si fanno prestare denaro per pagare i debiti e quando ce l'hanno in tasca si credono ricchi, ma si ritrovano a chiedere l'elemosina per pagare i creditori. Né mancano quelli che, pur essendo ricchi, vivono in miseria, per lasciare il patrimonio intatto agli eredi. C'è chi è disposto a traversare mari e monti in vista di un guadagno minimo e incerto, mettendo a repentaglio la propria vita, che nessuna somma potrebbe mai pagare. Altri preferiscono cercare fortuna in guerra piuttosto che starsene a casa tranquilli e pacifici. Alcuni ritengono che l'unico metodo infallibile per arricchirsi sia quello di entrare nelle grazie di vecchi benestanti senza figli; altri pensano che sia ancora meglio fare il cascamorto con qualche nonnetta riccastra...[...] Ci sono altri ancora che sono ricchi solo di desideri e speranze, fabbricano castelli in aria e si accontentano del sogno di essere felici. Ci sono quelli che provano gusto a farsi credere ricchi e in casa loro fanno la fame. C'è chi non si fa mancare nulla e scialacqua i suoi averi e chi ne accumula in tutti i modi leciti e illeciti. Molti si fanno coinvolgere in processi interminabili, dove le due parti in causa non fanno che arricchire il furbo avvocato e il giudice incerto. C'è chi propone continue innovazioni e chi partisce progetti colossali. Insomma... se voi, signori, poteste guardare il mondo dalla luna e vedere la confusione di uomini che regna quaggiù, vi sembrerebbe di osservare uno sciame di mosche o di zanzare intente a combattere, spiarsi, derubarsi, scherzare, folleggiare, nascere, cadere, morire. (Erasmo da Rotterdam, da: "Elogio della Follia")

PASSANO I SECOLI, MA CERTE COSE NON CAMBIANO MAI...

mercoledì 29 luglio 2009

EPICURO E L'IDEA DEL BENE

"Io non so in verità che idea farmi del bene, se ne tolgo i piaceri del gusto, se ne tolgo quelli della venere, se ne tolgo quelli dell'udito, se ne tolgo i piacevoli moti provocati dagli occhi dalle forme, e tutti gli altri piaceri di cui il corpo dell'uomo può godere con qualunque dei suoi sensi. Né certo si può dire che solo la letizia dell'anima sia da porre tra i beni. Perchè l'anima, per quel ch'io so, non si allieta se non nella speranza di tutte le cose che ho dette, e precisamente che la natura ne goda libera da dolore"
Epicuro (tratto da: "Lettere Morali")

domenica 26 luglio 2009

VERSI DI OMAR KHAYYA'M

Poi che null'altro che vacuo vento ci resta d'ogni cosa
ch'esiste,
Poi che difetto e sconfitta colgono al fine di ogni cosa,
Considera bene: ogni cosa che è, è in realtà nulla;
Medita bene: ogni cosa ch'è nulla, è in realtà tutto.

venerdì 24 luglio 2009

FRANZ KAFKA E I GRADINI DELLA VITA

"...Come? In questa vita breve, frettolosa, accompagnata da un rimbombo impaziente, scendere una scala? E' impossibile. Il tempo attrobuitoti è così breve che, se perdi un secondo, hai perduto già tutta la vita, perché essa non dura di più, dura sempre solo quanto il tempo che perdi. Se dunque hai imboccato una strada, prosegui, prosegui su quella, in tutti i casi puoi solo guadagnarne, non corri alcun rischio, forse precipiterai, ma se ti fossi voltato indietro già dopo i primi passi e fossi sceso giù per le scale, saresti precipitato dall'inizio, e non forse, ma certamente. Se dunque non trovi niente qui nei corridoi, apri le porte, se non trovi nulla lassù, non c'è problema, sali per nuove scale. Fin tanto che non smetti di salire, non finiscono i gradini, crescono verso l'alto sotto i tuoi piedi che salgono." (Franz Kafka, dal racconto: Difensori)

NON SMETTETE MAI DI SALIRE, AMICI, MAI!

martedì 21 luglio 2009

AMICIZIA EROTICA O AMORE?

"Gli era rimasta soltanto la paura delle donne. Le desiderava ma lo spaventavano. Tra la paura e il desiderio dovette crearsi una sorta di compromesso: lui lo indicava con le parole "amicizia erotica". Alle proprie amanti dichiarava: soltanto un rapporto non sentimentale, quando un partner non accampa pretese sulla vita e la libertà dell'altro, può portare la felicità ad entrambi." (Milan Kundera da: "L'insostenibile leggerezza dell'essere")
Lessi questo libro a quasi un anno dalla decisione di separarmi. E trovai geniale l'idea di chiamare i rapporti che intessevo proprio come il protagonista del libro: amicizie erotiche! I quasi due anni passati a L'Aquila furono intensi e indimenticabili!
Ma si può fermare il cuore? Si può riuscire a non innamorarsi? Dire che da tre anni io riesco a non innamorarmi seriamente potrebbe sembrare un vanto ma anche essere un grave handicap. Pesantezza e leggerezza della vita, anzi dell'amore.
"Suprema libertà è il bastare a se stessi" (Epicuro)
Essere riuscito a nutrire così tanto la mia anima di cultura, ha permesso di acquisire una grande ricchezza interiore grazie alla quale non mi annoio mai. Eppure il rapporto umano è ossigeno per me, ogni giorno semino conoscenze nuove. Alcune diventeranno fiori, altri resteranno semi, o peggio marciranno nel sottosuolo.
Non posso nascondere di aver amato intensamente nella mia vita, di aver provato tutte le gioie e i dolori che l'amore possa donare. Ma arriva un tempo in cui matura un'idea ben precisa di questo sentimento e di tutto ciò che porta. Non è pessimismo, semplicemente puro realismo che anche per un sognatore come me, porta ad amplificare l'importanza delle gioie donate a se stessi.
"Angelica e Tancredi passavano in quel momento davanti a loro...[...] Essi offrivano lo spettacolo più patetico di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione. Nè l'uno ne l'altra erano buoni, ciascuno pieno di calcoli, gonfio di mire segrete; ma entrambi erano cari e commoventi mentre le loro non limpide ma ingenue ambizioni erano obliterate dalle parole di giocosa tenerezza che lui le mormorava all'orecchio, dal profumo dei capelli di lei, dalla reciproca stretta di quei loro corpi destinati a morire". (Tomasi di Lampedusa, da
"Il Gattopardo")
Mi colpì tantissimo questo pessimismo alquanto reale sull'amore e in fondo sulla vita. E' vero, siamo tutti destinati a morire, a diventare polvere, qualcuno può negarlo?
Eppure proprio per questo se l'amore arriva bisogna goderselo e viverselo fino in fondo. Anche se effimero e non eterno. Nulla è per sempre.
L'amore d'altronde ha portato avanti la vita e l'esistenza dell'essere umano. E' stata ed è tutt'ora la base per meravigliose storie scritte, cantate da tutti i più grandi poeti e scrittori della storia. Non è forse stato l'amore a scatenare la guerra di Troia? Ci vorrebbero milioni di pagine telematiche e cartacee per poterne scrivere, non basterebbero nemmeno tutte le stelle dell'universo per esprimere la luce che dona appena nasce. Gli amori tragici, impossibili, quelli non ricambiati, gli amori adulteri, quelli passeggeri, quelli sconvolgenti, quelli violenti, illusori, falsi e quelli per sempre: è un mutaforma l'amore. Una metamorfosi di sentimenti all'unisono, tutti convergono in esso e lo accrescono, lo recidono, lo immortalano. "Quando l'amore vi chiama seguitelo, sebbene le sue vie siano difficili ed erte, e quando vi avvolge con le sue ali cedetegli, anche se la lama nascosta tra le piume potrà ferirvi. Quando vi parla, credetegli, sebbene la sua voce possa frantumare i vostri sogni...Poichè mentre l'amore vi incorona, vi crocifigge. Mentre vi fa crescere, vi recide..." (Kahlil Gibran)

domenica 19 luglio 2009

UNA CASCATA DI LUMI

Crepitava insonne
il crepuscolo vespertino,
allorché vidi
fari di cielo precipitare:
una cascata di lumi
che brillava tacita
in grembo alla notte.

Sorta all'imbrunire,
scorreva libera
tra sponde di cielo,
distillando schegge di luna
lungo i detriti del tempo.

venerdì 17 luglio 2009

DI ZUCCHERO E MANDORLE

Stilla la notte
tra le arterie di questa città;
la brama di vita
si illumina a giorno
sui tavolini di un bar.

Dalla terra,
un frutto
produce delizie.

Tra le mani,
diviene gusto,
smarrimento di sensi.

E' un bacio disciolto
di zucchero e mandorle,
che scuote papille
e inebria l'attimo.

Svanisce l'afa,
il palato sospira
e libera atomi di seduzione.

Fresca estasi passeggera,
sublima,
l'aroma
di cremose illusioni.

Il Dolce e l'amaro
uniscano essenze,
l'evanescente fuga
divenga sapore perenne
di prelibate speranze.

giovedì 16 luglio 2009

KAHLIL GIBRAN E L'ETERNITA' DELLA BELLEZZA

"...Di notte, i guardiani della città dicono: "La bellezza sorgerà a oriente con l'aurora". E nel pieno meriggio operai e viandanti dicono: "L'abbiamo veduta sporgersi sulla terra dai davanzali del tramonto".
D'inverno gli uomini isolati tra le nevi raccontano: "Arriverà correndo con la primavera tra le colline".
E nell'afa dell'estate dicono i mietitori: "L'abbiamo vista danzare con le foglie dell'autunno, e aveva un soffio di neve tra i capelli".
Avete detto tutte queste cose della bellezza.
Ma in verità non avete detto di lei ma di desideri insoddisfatti,
E la bellezza non è un bisogno bensì un'estasi.
Non è una bocca assetata né una mano vuota protesa,
Bensì un cuore ardente e un'anima incantata.
Non è l'immagine che vorreste vedere e nemmeno la melodia che vorreste udire,
Bensì un'immagine che vedete pur serrando gli occhi e una melodia che ascoltate pur tappandovi le orecchie.
Non è la linfa sotto le rughe della corteccia né l'ala dell'artiglio,
E' piuttosto un giardino sempre in fiore, uno stormo di angeli sempre in volo.
[...] La bellezza è l'eternità che si guarda in uno specchio.
Ma voi siete l'eternità e voi siete lo specchio."
Kahlil Gibran (tratto da: Il Profeta)

VOLTAIRE E LA TRAGEDIA "RIVELATRICE" DEL BELLO

Domandate a un rospo che cos'è la bellezza, il vero bello, il to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina con due grossi occhi tondi che sporgono dalla testolina, un muso largo e piatto, un ventre giallo, un dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea; il bello per lui è una pelle nera, grassa, occhi infossati, un naso schiacciato.
Interrogate il diavolo; vi dirà che il bello è un paio di corna, quattro grinfie e una coda. Consultate infine i filosofi, vi risponderanno con uno sproloquio; hanno bisogno di qualcosa che sia conforme all'archetipo del bello in se, al to kalòn.
Assistevo un giorno a una tragedia accanto a un filosofo. "Come è bella" diceva. "Che cosa ci trovate di bello?", gli chiesi. "E' che l'autore" disse "ha raggiunto il suo scopo", gli dissi "ecco una bella medicina!" Capì che non si può dire che una medicina sia bella, e che per dare a qualcosa il nome di bellezza, bisogna che essa ci susciti ammirazione e piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato quei due sentimenti, e che in ciò stava il to kalòn, il bello.
Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si dava la stessa tragedia, perfettamente tradotta; essa fece sbadigliare tutti gli spettatori. "Toh" disse "il to kalòn non è lo stesso per gli Inglesi e per i Francesi." Dopo molte riflessioni, concluse che il bello è assai relativo, così come ciò che è decente in Giappone è indecente a Roma, e ciò che è di moda a Parigi non lo è a Pechino; e si risparmiò la fatica di comporre un lungo trattato sul bello.
Voltaire, pseudonimo di Francois - Marie Arouet (Tratto da: Dizionario Filosofico)

martedì 14 luglio 2009

MARINA di Arthur Rimbaud

I carri d'argento e di rame -
Le prue d'acciaio e d'argento -
Battono la schiuma, -
Sollevano i ceppi dei rovi.
Le correnti della landa,
E le carreggiate immense del riflusso,
Filano circolarmente verso est,
Verso i pilastri della foresta, -
Verso i fusti del molo,
Che turbini di luce investono in un angolo.

lunedì 13 luglio 2009

RAINER MARIA RILKE E LA SOLENNITA' DELLA SOLITUDINE

"...Ma pensato ho spesso a voi in questi giorni di festa e immaginato quanto tranquillo dovete essere nel vostro forte solitario tra i vuoti monti, su cui precipitano quei grandi venti meridionali, quasi volessero divorarli a gran pezzi.
Immenso deve essere il silenzio, in cui tali rumori e movimenti hanno spazio, e se si pensa che a tutto questo s'aggiunge ancora la presenza del remoto mare come sua voce, quasi fosse il più intimo tono in codesta preistorica armonia, vi si può solo augurare che lasciate operare in voi fiducioso e paziente la solenne solitudine, che non potrà più essere spogliata dalla vostra vita, che in tutto quello che vi attende da esperimentare e da compiere opererà come un influsso anonimo continua e sommessamente decisiva, quasi come in noi senza posa si muove sangue dei nostri avi e si compone col nostro nella cosa unica, irripetibile che noi siamo a ogni curva della nostra vita..."
Rainer Maria Rilke (Tratto da: Lettere a un giovane poeta)

domenica 12 luglio 2009

ARTHUR SCHOPENHAUER ED I "RIMEDI" CONTRO LA NOIA

La nostra esistenza è, per sua natura irrequieta: per questo la completa inattività ci diviene presto intollerabile in quanto comporta la più tremenda noia... Pertanto essere attivi, occuparsi di qualcosa, se è possibile fare, o almeno imparare qualcosa è indispensabile per la felicità dell'uomo: le sue forze esigono di essere adoperate, ed egli aspira a vedere l'esito di quell'impiego. Tuttavia la più grande soddisfazione a questo riguardo è data dal costruire qualcosa, dal realizzare - si tratti di un cesto o di un libro; che uno veda ogni giorno crescere tra le sue mani un'opera, fino a portarla a compimento, è una felicità che ci tocca nel profondo. E' l'effetto di un'opera d'arte, di uno scritto, persino di un semplice lavoro manuale; naturalmente più è elevato il genere dell'opera, tanto più profonda è la soddisfazione. Sotto questo aspetto i più felici sono gli uomini di genio, consapevoli come sono di poter produrre opere grandiose per concezione e densità di significati... Per questi uomini superiori la vita e il mondo, accanto agli interessi materiali, comuni a tutti, ne presentano un altro, più elevato, di natura formale, che contiene i motivi e i temi delle loro opere, nella cui ricerca essi sono assolutamente impegnati per tutta la vita, non appena le necessità personali lasciano loro un pò di respiro. Anche il loro intelletto è in certo modo duplice: uno, al pari di tutti gli altri, per le relazioni comuni, uno per la comprensione puramente oggettiva delle cose. Così essi vivono una vita duplice, sono al tempo stesso spettatori e attori...
In ogni caso ognuno dovrebbe avere un'occupazione conforme alle proprie capacità... Darsi da fare, lottare contro una resistenza, è un bisogno dell'uomo... Lo stato di quiete del totale appagamento, per effetto di un godimento durevole, gli sarebbe intollerabile. Il pieno godimento della sua esistenza consiste nel superare ostacoli...La felicità è data dalla lotta contro questi ostacoli, e dalla vittoria.
Arthur Schopenhauer (Tratto da: Aforismi sulla saggezza del vivere)

sabato 11 luglio 2009

LUDWIG VAN BEETHOVEN E L'EREDITA' DEI SENSI

"Ho deciso di errare lontano finchè non potrò volare nelle tue braccia..." (L. v. Beethoven)
Dipingo dal vivo, scrivo, sosto e ascolto. Queste non sono note, ma canti di cielo. Il genio, centoottanta anni dopo la sua morte e forse più, l’orchestra insieme di armonie. Sotto le stelle vola la musica, vola l’ingegno del quale io mi nutro. Oh quanta fame, divorerei tutta l’arte del mondo. Ma il tempo corre e posso solo cogliere ciò che arriva, ciò che stilla da ogni strumento, dal suolo alle nuvole. Vorrei non essere qui. E’ un salto nel tempo l’emozione di questa musica. A ritroso nella genialità. Tu divenisti sordo un giorno, ed in parte anche io, perché adesso non odo che quelle note, nonostante tutti i rumori della modernità. Nonostante all’aperto brusii inopportuni osino disturbare il coro di violini. Sembra che possano prendere vita anche le statue poste sull’imponenza del teatro, ogni singolo mattone sembra muoversi e vibrare, tanto le note carezzano la sua immane immobilità. Quale miscuglio: arrivano odori, si fondono al suono e impercettibili stimolano pulpiti e tremori. Ecco un fiore che dirige con piglio dinamico, un fiore a cui si inchinano steli d’erba soffiati dalla brezza estiva. Dimmi Ludwig, com’era il mondo ai tuoi tempi? Anche se presto ti si proibirono per natura dispettosa i fremiti del suono, dimmi, cosa vedevano i tuoi occhi da genio? Sapevi che saresti diventato leggenda, che avresti impresso la tua musica nell’infinito scorrere dei fiumi? Potessi bissare la gloria delle tue creazioni. Le mie mani non donano musica ma semplici parole, versi, e frasi che oggi si disperdono nel nero oceano globale. Quale effetto ha una parola, al cospetto di un violino, un oboe, o qualsiasi altro magico arnese? Se le parole fossero una pennellata che tinge i percorsi della musica, quale colore si segnerebbe sulla tela delle sensazioni? Il blu, il rosso o l’azzurro del mare? Una linea leggiadra, sinuosa, un tratto deciso e dolce, sarebbe. Una carezza di nobile mano, un bacio di soffici labbra, un morso da grancassa, il sussurro di un flauto. E’ un’estasi l’insieme dei suoni, è potenza all’unisono. Sono prati, fiori, orizzonti e crepuscoli di cromo. Sorge il sole, tramonta la luna.. Oh anche gli astri paiono danzare. E’ un ovazione dei sensi, un tripudio di fremiti, oltre le palpebre, dentro uno sguardo, basta sognare e tutto si tramuta, una sottile magia, una metamorfosi di sinfonie, ritmo di vita. Per scandire rintocchi d’immenso, si libra il pensiero aldilà della tacita notte. L’orchestra è uno sciame, uno stormo che precipita ad ali spiegate sulla scala dei suoni, svanendo come musica. Acclamino i brividi, si materializzi l’etere, si concretizzi il sogno: standing ovation o miei frammenti d’anima, ci si prepara all’eterno.
"Non dimenticatemi completamente quando sarò morto, me lo sono meritato perchè nella mia vita ho spesso pensato di rendervi felici, siatelo." (Ludwig van Beethoven)

venerdì 10 luglio 2009

GIACOMO LEOPARDI E IL "RIDER ALTO"

Dallo "Zibaldone" di Giacomo Leopardi:
"Ridete franco e forte, sopra qualunque cosa, anche innocentissima, con una o due persone, in un caffè, in una conversazione, in via: tutti quelli che vi sentiranno o vedranno rider così, vi rivolgeranno gli occhi, vi guarderanno con rispetto, se parlavano, taceranno, resteranno come mortificati, non ardiranno mai rider di voi, se prima vi guardavano baldanzosi o superbi, perderanno tutta la loro baldanza e superbia verso di voi. Infine il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione. Terribile ed awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire." (23 Sett. 1828)

mercoledì 8 luglio 2009

ANTON CECHOV E LE FATICHE DI UNO SCRITTORE

(Tratto da: Il Gabbiano, atto II).
TRIGORIN: Devo andare subito a scrivere. Scusi, non ho tempo... Lei ha toccato, come suol dirsi, il mio lato debole, ed ecco io comincio a turbarmi e ad essere alquanto irritato. Del resto, parliamone pure. Parliamo della mia bellissima, luminosa esistenza... Bene di dove cominceremo? Vi sono delle idee ossessive: quando uno, ad esempio, pensa sempre di notte e di giorno, alla luna, e anch'io ho una mia simile luna. Giorno e notte mi affligge un solo pensiero molesto: io devo scrivere, io devo scrivere, io devo... Ho appena finita una novella, che subito, non so perchè, devo scriverne un'altra, e poi una terza, e dopo la terza, e dopo la terza una quarta... Scrivo senza interruzione... Oh che vita assurda! Sto qui con lei, mi agito e intanto a ogni istante ricordo che mi aspetta una novella incompiuta. Vedo una nuvola simile a un pianoforte. Penso: bisognerà accennare in qualche racconto che fluttuava una nuvola simile ad un pianoforte. C'è odore di eliotropio. Mi imprimo nella memoria: aroma dolciastro, color vedovile, accennarvi nella descrizione di una sera d'estate. Colgo ogni parola, ogni frase, che io e lei pronunziamo e mi affretto a rinchiuderle tutte nel mio deposito letterario: potranno servirmi! Quando finisco un lavoro, corro a teatro o a pescare, potrei riposarmi, dimenticare, e invece nella mia testa già rotola una pesante palla di ghisa un nuovo soggetto, e già mi attira il mio tavolino, e bisogna affrettarsi daccapo a scrivere e scrivere. E così sempre, sempre, e non ho pace da me stesso, e sento che sto consumando la mia esistenza, e che, per dare del miele a qualcuno nello spazio, io rubo il polline ai miei fiori migliori, li strappo e ne calpesto le radici. [...] In quegli anni, negli anni migliori, in quelli della giovinezza, quando io cominciavo, lo scrivere era per me un continuo supplizio. Uno scrittore esordiente, specie se non ha fortuna, si crede goffo, maldestro superfluo, ha i nervi tesi, irritati; gironzola infrenabilmente attorno a persone partecipi della letteratura e dell'arte, misconosciuto, non osservato da alcuno, temendo di guardar fisso e con audacia negli occhi, come un giocatore accanito, che non abbia denaro. Io non vedevo il mio lettore, ma non so perchè alla mia fantasia egli appariva malevolo, diffidente. Temevo il pubblico, mi faceva paura, e, quando mettevano in scena una mia nuova commedia, mi sembrava ogni volta che i bruni mi fossero ostili e i biondi gelidamente indifferenti. Oh, che cosa terribile! Che supplizio! [...] Il peggio è che sono in uno stato di ebbrezza e spesso non capisco quello che scrivo... Amo quest'acqua, gli alberi, il cielo, sento la natura, essa suscita in me la passione, l'invincibile desiderio di descriverla. Ma non sono soltanto un paesaggista, sono anche un cittadino, io amo la patria, il popolo, io sento che, come scrittore, ho il dovere di parlare del popolo, delle sue sofferenze, del suo avvenire, di parlare della scienza, dei diritti dell'uomo e di cose simili, ed io parlo di tutto, mi affretto, da tutti i lati mi spronano, si impermaliscono, io mi dimeno da un alto all'altro, come una volpe braccata dai cani, vedo che la vita e la scienza vanno sempre più avanti, mentre io resto indietro, indietro, come un contadino che ha perduto il treno, e alla fin fine sento che so descrivere solo il paesaggio, e in tutto il resto sono falso, e falso sino al midollo.
COSI' INVECE SCRIVEVA CECHOV SULLA SUA OPERA:
"...Sto scrivendo un lavoro teatrale, che terminerò anche, probabilmente, non prima della fine di novembre... E' una commedia, ci sono tre parti femminili, sei maschili, quattro atti, un paesaggio (veduta sul lago); molti discorsi sulla letteratura, poca azione, tonnellate di amore. [...] Il mio lavoro teatrale va avanti, per il momento tutto procede tranquillamente, anche se non so cosa ne uscirà poi, alla fine.. Probabilmente a causa della Piéce le mie intermittenze cardiache si sono fatte più frequenti, prendo il sonno tardi e in generale mi sento piuttosto male...[...] Ebbene, ho finalmente terminato il mio lavoro teatrale. L'ho cominciato forte e l'ho finito pianissimo contro tutte le regole dell'arte drammatica. Ne è uscito un racconto. Sono più scontento che contento e, leggendo questo mio lavoro appena venuto alla luce, mi convinco ancora una volta di non essere affatto un drammaturgo...."

A TUTTI GLI AMICI SCRITTORI...

martedì 7 luglio 2009

NON SONO PIU' DOLCI LE GIOIE DEL MATTINO di William Blake

Non sono più dolci le gioie del mattino
di quelle della notte?
E le gioie frizzanti della giovinezza
si vergognano forse della luce?

L'età avanzata e la malattia rubino
dai vigneti di notte,
ma chi brucia di vigorosa giovinezza
colga i frutti in presenza della luce.

lunedì 6 luglio 2009

LA NAIA E LA VITA

"Cara burbetta dimmi una cosa cosa facevi tre mesi fa, andavi a spasso con la morosa e non pensavi a fare il soldà..." Canzone militare
Sono passati venti anni giusto oggi dal mio primo giorno di naia. Certi ricordi restano indelebili, specialmente se a distanza di anni vengono ripescati dall’archivio delle memorie con un po’ di nostalgia. Fuggivo da una donna, da colei che avevo amato per la prima volta, la chiamata “alle armi” fu quanto mai opportuna all’epoca. Varcando il portone di quella caserma a Pesaro si entrava in un mondo nuovo, un mondo duro ma affascinante allo stesso tempo. All’arrivo un caporale ci disse che delle quattro Compagnie esistenti la peggiore era la prima. Indovinate a quale delle quattro fui assegnato io? Esatto, la prima! E siccome dovevamo fare il giuramento solenne in piazza del popolo, ci sottoposero ad un addestramento durissimo sotto il sole di luglio. Ma come ogni cosa e per mia fortuna, trovai il lato positivo in quell’esperienza, ed era il fascino della lucina azzurra quando andavi a dormire, quella lucina che cullava i tuoi brevi sogni e indicava che un’altra torrida giornata era volata via, verso un giuramento che pareva non arrivasse mai. La cosa peggiore era fare il piantone alle camerate dalle 2 alle 4 del mattino, fare avanti e indietro e guardare con invidia chi russava beato sotto la sua coperta. O peggio gli incontri per spiegare la composizione degli attrezzi militari e tra tante persone da interrogare chiamando un numero di posto branda a caso, rispondevo io. O ancora la paura e l’insonnia della notte prima del lancio della bomba durante l’addestramento, o tutti i colpi sparati alla sagoma del vicino. Potrei narrare ancora tanti eventi, ma la cosa bella è poter ripercorrerli e sorridere anche dei momenti brutti e di sconforto. Da Pesaro fui assegnato al 184° Battaglione Trasmissione Cansiglio, caserma De Dominicis, (da noi ribattezzata “Dedo”) di Treviso. Con la graziosa cittadina veneta fu amore a prima vista, a lei donai i miei vent’anni e la mia prima emozione da uomo. Dalle cucine alla Fureria, fu un anno indimenticabile. Nelle cucine ero molto apprezzato, ero specializzato in caponate ed insalate; non sopportavo un sergente che gridava sempre, dover pulire la piastra bollente e una macchina per pelare patate che pareva danzasse mentre lasciava correre a terra acqua sporca! Dalla fureria, dove preparavo anche le licenze da far firmare al Capitano, riuscii ad aiutare diverse persone ad andare a casa in momenti particolari. Sotto naia, accadeva di tutto e spesso capitavano emergenze da affrontare al meglio. La cosa più importante è il legame che si stringe con i commilitoni, un legame unico e decisamente fraterno. “Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte, foglia appena nata..” (G. Ungaretti). Per fortuna non eravamo in guerra e se già per il semplice servizio di leva si stringeva un legame così forte, posso solo immaginare in guerra come si diventasse uniti e quanto lacerata potesse divenire un’anima nel vederne un’altra spirare. “E se qualcuno chiedesse perché siamo morti, Dite, per le menzogne dei padri, i loro torti” (R. Kipling). Molti, durante "la leva", non riuscivano ad affrontare la prima prova di maturità, il distacco dalla famiglia, quanta sofferenza allora. E chissà quanta sofferenza poi, perché io credo che il vero “botto” si facesse dopo. Appena iniziava la vita reale. Perché tra quelle mura ed in quella città si passavano momenti di grande spensieratezza. Quando scendeva la notte e terminava la musica triste del “Silenzio”, si levavano voci come pianti a gridare “Finitaa!”. Voci che si rincorrevano tra tutti coloro che avevano terminato l'anno, un eco di gioia e nostalgia. Era arrivato il momento del sollievo, il momento del distacco dai fratelli, un trampolino di lancio verso la vita concreta, verso un’illusione di vita felice. Quando ero lì, mangiavo tantissimo e la domenica pomeriggio dopo un bel riposino, mi svegliava un amico romagnolo col quale andavamo a ballare vicino Treviso, il pomeriggio. Cari splendidi fiori, ardue conquiste, pelli di gelsomino e baci di rosa, dove sarete adesso? Sarete mogli infelici o donne affermate? E tutti voi compagni di cui ho perso le tracce, cosa farete? Il frutto acerbo della giovinezza è maturato. Maturata è la vita ed ogni respiro del suo pulpito. Sottile nostalgia, scuoti forte ogni volta che il pensiero vola, ogni volta che il tenue e dolce ricordo dei giorni perduti ritorna come un treno che sfreccia. “Ritroverai le nubi e il canneto, e le voci come ombra di luna. Ritroverai parole oltre la vita breve e notturna dei giochi…” (C. Pavese)

LA GIORNATA di Orazio

Non domandare tu mai
quando si chiuderà la tua
vita, la mia vita,
non tentare gli oroscopi d'oriente:
male è sapere, leucònoe.
Meglio accettare quello che verrà,
gli altri inverni che Giove donerà
o se è l'ultimo, questo
che stanca il mare etrusco
e gli scogli di pomice leggera.
Ma sii saggia; e filtra vino,
e recidi la speranza
lontana, perchè breve è il nostro
cammino, e ora, mentre
si parla, il tempo
è già in fuga, come se ci odiasse!
così cogli la giornata,
non credere al domani.

domenica 5 luglio 2009

TU STUPISCI E INDICHI IL MARE di J.W. Goethe

Tu stupisci e indichi il mare, pare un incendio;
come cinge l'onda fiammante il legno notturno!
Non mi sorprende: il mare generò Afrodite,
e da lei non si levò per noi una fiamma, suo figlio?

sabato 4 luglio 2009

IL MARE di John Keats

In eterno sussurra intorno a lidi
solitari, e con l'ansito potente
dieci e dieci migliaia di caverne
sazia, finchè di Ecate' l'incanto
lascia in lor antico oscuro rombo.
Spesso così soave lo ritrovi
che appena la più piccola conchiglia
viene smossa per giorni di là dove
cadde una volta all'ultima nel cielo
furia di venti. O voi che le pupille
avete afflitte e stanche, fate loro
pascolo della vastità del mare;
voi cui stordì gli orecchi aspro frastuono
o dèste loro troppo nutrimento
di sazievole musica, sedete
di un'antica caverna sulla soglia
in voi raccolti, e balzerete come
ninfe udendo del mar cantare in coro.

' Dea della luna; maestra di magie e incantesimi.

venerdì 3 luglio 2009

SORSEGGIARE LA VITA

Me ne starei sdraiato ora su d’uno spalto ora su d’un altro, guardando il mare attento attento, invecchiando adagio adagio, bevendo a sorsi la vita, il vino e le fantasticherie della mia vita”
E’ il desiderio espresso da un garibaldino, personaggio del libro di Giuseppe Cesare Abba: “Da Quarto al Volturno”, quello di invecchiare bevendo a sorsi la vita e le fantasticherie della sua testa. Una speranza, un sogno che è forse quello di ognuno di noi. Forse a volta bere la vita corrisponde ad una sbronza, soprattutto se si beve d’un fiato e dunque, bisogna vivere la vita sorbendola a sorsi o percorrerla in un baleno trincandola avidamente in un attimo? Quando si dice di cogliere l’attimo, in che modo si sta gustando questa nostra vita? Forse la via di mezzo è per antonomasia quella più corretta, ma in fondo ognuno di noi può viverla come vuole. A meno che non ci siano impedimenti ed ostacoli in quantità superiore a quelli normalmente previsti. La vita che appena sorta è già accompagnata dalla sua nera gemella, che da un momento all’altro può prendere il sopravvento. Esistenza umana messa spesso a repentaglio, soprattutto nel periodo delle guerre. E proprio di guerra, ma con contenuti altamente poetici parla il libro da cui ho tratto la frase iniziale di questo post. Desidero segnalare qualche altro passaggio, trascrivendo con grande emozione l’elogio di Catania:
Siede come Venere nella conchiglia, spossata dal godimento di un cielo, d’una campagna, d’un mare, che sembrano fondersi insieme in una sola vita per farle delizia. Si sente una soavità d’aura anacreontica; su, vino e rose! Lampeggiano gli occhi delle donne uscenti dai templi come Dee, colle vesti bianche, i manti neri di seta fluttuanti dalle trecce per le spalle, sui fianchi superbi”. Donne di Catania, donne della Sicilia, belle come statue, forti, impulsive e passionali, a voi lasciai già il mio cuore. Fiori nel deserto a spandere aromi intensi e perversi, sapore di fiamma e cenere. “mi guardava in modo che io mi sentii nelle braccia la rabbia di agguantar le sbarre dell’inferriata e a squassi schiantarle, per dire a quell’anima - vieni via da coteste tenebre e vivi! -. Essa avvicinò la faccia alla grata; io baciai, baciammo quel ferro freddo e bevvi l’alito suo” Anche qui si beve una parte della vita, la parte dedicata all’amore e alla passione, la sete di un altro corpo, il respiro di un’altra anima che entra dentro noi e scorre per darci tremori indicibili. Ma sull’amore si è scritto e si potrebbe scrivere ancora così tanto… E lo stesso dicesi per la poesia, per i viaggi e per tutto ciò che è opera dell’intelletto umano. Di certo questo libro che consiglio di leggere, riesce a trasmettere poesia in un contesto storico come quello dello sbarco dei mille in Sicilia e i momenti di emozione e di forte commozione non sono mancati. Da poeta (minore) a poeta, un ringraziamento alla tua arte e a ciò che hai lasciato. In ogni “noterella” ho colto frammenti di vita ed emozione, ogni parola diveniva macchina del tempo per trasportarmi direttamente alle battaglie tra borbonici e garibaldini. Ho viaggiato con loro, lottato patito la fame e gioito alle notizie di resa del nemico. Ho aperto un varco nel tempo, tuffandomi tra uno scampolo e l’altro di questa mia realtà nella perdizione poetica e avventurosa delle pagine di un libro. E’il fascino della lettura, è l’amore per il libro e tutto ciò che contiene. Non è difficile, nonostante lo stress di questi giorni incerti, bisogna riuscire a leggere, bastano poche parole per scavalcare i confini della realtà, pochi versi per abbatterne i muri immensi.
"La notte la passai in sentinella avamposto. La poesia mi sgorgava feconda dal cuore.."
Giuseppe Cesare Abba