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sabato 30 maggio 2009

DE ROBERTO E IL "SUO" MONASTERO

I monaci facevano l’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso. Levatisi, la mattina, scendevano a dire ciascuno la sua messa, giù nella chiesa, spesso a porte chiuse, per non essere disturbati dai fedeli; poi se ne andavano in camera a prendere qualcosa, in attesa del pranzo, a cui lavoravano, nelle cucine spaziose come una caserma, non meno di otto cuochi, oltre gli sguatteri…. I calderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una coscia di vitella e arrostire un pesce spada sano sano… In città, la cucina dei benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse come un mellone, le olive imbottite, i crespelli melati erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare…San Benedetto, al capitolo della Misura dei cibi, aveva ordinato che per la refezione d’ogni giorno dovessero bastare due vivande cotte e una libbra di pane.. Ma questa era una delle tante antichità…potevano forse le Loro Paternità mangiare pane duro? E la sera il pane era della seconda infornata, era caldo fumante come quello della mattina… Le cantine di San Nicola erano ben provvedute.. e se i monaci tringavano largamente, avevano ragione, perché il vino delle vigne del Cavaliere, di Bordonaro, della tenuta di San Basile, era capace di resuscitare i morti….” (De Roberto, I Vicerè).
L’altro giorno ho avuto il piacere, insieme ad un’amica e con la consulenza di una Guida, di visitare una parte del Monastero dei Benedettini di Catania, che avevo visto solo in alcune sue parti. La zona più affascinante e che mi incuriosiva di più era proprio quella delle cucine. Lo stesso De Roberto, nel suo romanzo più famoso ne parla ampiamente. Anzi è stato proprio leggendo il libro che è sorto in me il desiderio di visitarle. E devo ammettere che non sono rimasto deluso. Attraverso la vista, l’olfatto e soprattutto il tatto, ho sentito scorrere in me il passato, quell’epoca tutto sommato recente. Ho chiuso gli occhi e sentito il brusio dei monaci nei refettori, il tintinnio delle posate e l’affaccendarsi incessante dei cuochi e degli “squatteri”. Le mattonelle venute fuori dagli scavi e che ricoprono la struttura centrale ove il ceppo rosolava cibi, sono davvero invantevoli. Ho provato anche a sentire gli odori del tempo. Ho lasciato che l’olfatto unito a ricordi ed esperienze, riscoprisse dall’ archivio della mia mente odori conosciuti. Ho pensato al sentore di fritto nell’aria, le “arancine”, i "crispelli"… ne ho immaginato il sapore. Il passato scorreva davanti ai miei occhi e prendeva forma nella mia fantasia, percepivo quasi gli spintoni frenetici e involontari dei religiosi, intenti a preparare tutte le delizie che lo scrittore siciliano elenca nella sua opera, quasi fossero api attorno al miele. Ero quasi tentato di prendere posto nel refettorio ed aspettare avvinto dai crampi della fame, che mi venisse servita qualche bontà. Bisogna ammettere che si trattavano bene e che di tutte le regole di San Benedetto non gliene importasse più di tanto, o perlomeno avevano un modo di interpretarle alquanto soggettivo! In fondo mangiavano, bevevano e dormivano! Perché se è vero che dovevano alzarsi presto per cantare messa, dopo poco tempo, “stanchi” dal duro lavoro, lasciarono fare ai Cappuccini!
"I Padri.. per non scendere giù in chiesa, a mattutino, quando faceva freschetto, avevano ordinato, molti anni addietro, la costruzione di un altro Coro, chiamato Coro di notte, in mezzo al convento; ed anzi era costato parecchie migliaia d’onze, tutto di noce scolpito; ma adesso i Padri non si levavano neppure per andar lì, a due passi; restavano a covar le lenzuola fin a giorno chiaro, e il mattutino lo facevano recitare per conto loro ai Cappuccini, dietro pagamento”. (ancora da: I Vicerè).
Purtroppo il Coro di notte non sono riuscito a vederlo, perché la sala era impegnata, ma conto e spero di farlo presto. Ogni luogo che rappresenta l’arte e la letteratura è un patrimonio di sensazioni nonché fonte inesauribile di emozioni. Vedere dal vivo i siti immaginati durante la lettura è sempre affascinante; i luoghi, penso, raramente deludono, come invece può capitare quando un’opera letteraria viene tramutata in film. Ognuno di noi quando legge, si crea una propria idea e figura del personaggio e non sempre l’attore che lo impersona rende la profondità, o meglio non potrà mai essere come lo abbiamo immaginato noi. Con le dovute eccezioni, come ad esempio (me ne viene in mente una a caso, ma ci sono molti altri capolavori): Il Gattopardo di Luchino Visconti, con un maestoso Burt Lancaster ed una bellissima Claudia Cardinale. D’altronde anche questa vicenda è ambientata in Sicilia ed anche qui ci sono descrizioni culinarie da repentine acquoline in bocca... ma questa è un'altra storia.
“…Il De Roberto sentiva la verità storica con tanta passione da trasformarla insensibilmente in verità artistica” (Dalla tesi di laurea di V.Brancati)

domenica 24 maggio 2009

BREZZA D'ESTATE

Sorta dalla bruma del mare
sbocci d'afa e candore,
repentina e fugace.

Una posticcia oscurità
unisce pensieri
a madide emozioni.
D'aspergere il legame,
sogni invano.

Sulla densa distesa
si perdono dune
divelte dal tempo.

L'umana illusione
accende le rive
di gioiosi splendori.
Fatue speranze
su eterni respiri.

Tutto logora.

Freme la brezza
mormorio dei venti,
sulle tacite correnti
come polline
vorrei domare l'aria.

Indugio,
sui tuoi baci di grano
ascolto.

Le onde gemono,
i desideri evolvono,
nulla rimane.

Giaceranno solo residui d'immenso
sulle tue sponde.

Smarrita e caduca,
l'anima mortale
invano bramerà:
l'infinito è disperso.

POESIA DI EMILY DICKINSON

Estate per te, fa' ch'io sia
Quando i giorni d'Estate si saranno involati!
La tua musica anche, quando il Caprimulgo
E l'Oriolo - saranno andati!

Per sbocciare per te, sfuggirò alla tomba
E sopra vi spargerò la mia fioritura!
Ti prego coglimi -
Anemone -
Il tuo fiore - per sempre!

VELOCITA'

Tremo ancora,
tale velocità
è un tripudio di emozioni:
adrenalina pura,
scuote l’animo.

Sul bolide
a un passo dalla luna
sfrecciava il mio talento,
quieto ed agitato,
un mare increspato
da frammenti d’immenso.

Acquisita immortalità,
fuggi in un istante,
intenso ed eterno,
vivo ed effimero,
tra le catene dei miei sogni
che sotto le stelle
correvano impavidi.

Come scettro il volante
stretto nella potenza delle mie mani,
come donna la macchina
avvinta alle mie braccia.

Il rombo del motore
come canto di sirena,
dilata il tempo
pavido e impietoso.

L’accelerazione dei sensi
infrange i limiti,
spezza il destino,
la rapidità dell’aria
assorbe il vuoto.

Nello spazio infinito
il ruggito dell’attimo
mi libra nell’aria,
volo leggero,
rapidamente sospinto
da un vento impetuoso.

Il futuro non attende invano,
arrivo al capolinea
ove raggiungo sfinito
il traguardo dei miei desideri,
e colgo l’impercettibile vanità
delle mie ardite speranze.

2006

martedì 19 maggio 2009

LEGGENDA E MODERNITA'

"Ecco, figlio, coi suoi auspici la gloriosa Roma uguaglierà il suo dominio alla superficie della terra e il suo spirito all'Olimpo, e unica cingerà di mura i sette colli, feconda d'una stirpe di eroi..." (Virgilio, Eneide)
E' sempre emozionante ritornare nella capitale. Proprio dove ho vissuto uno dei periodi più belli della mia vita. Dopo alcuni giorni di trattamento intensivo a base di corsi formativi per la vendita, ho potuto cogliere emozioni rare visitando la Centrale Montemartini. E' il nuovo polo espositivo dei Musei Capitolini in una vecchia centrale termoelettrica. Che fascino! Il respiro della storia che prende forma lungo i taciti marmi scolpiti. Statue che si stagliano davanti al silenzio delle macchine, ormai ferme. Mitologia e futurismo, classici e modernità, il tutto arricchito nella "notte dei musei" organizzata a Roma il 16 maggio, dalla recitazione di alcuni bravi attori e dalle note di quattro deliziose musiciste. Una in particolare suonava col flauto traverso una melodia che avevo già sentito, appena terminato il sogno ho ardentemente desiderato sapere quale musica fosse e la bellissima (e bravissima) musicista ha gentilmente saziato la mia curiosità: Syrinx di Debussy.. che meraviglia!L'arte prende forma e la storia diviene presente, il futuro placa la sua corsa, il tempo sosta sui percorsi della leggenda. "Potessi restaurare con le arti paterne i popoli e infondere vita alla terra plasmata!" (Ovidio, Metamorfosi) Se dunque il passato rivivesse, se le statue prendessero vita cosa potrebbero narrare della loro creazione? L'umanità è cambiata? O nulla è variato rispetto ai loro tempi. L'uomo e la sua arte, l'uomo e la sua vita. La fabbrica sussurra frastuono e voci flebili. La fabbrica con le sue macchine imponenti che quando produceva quotidianamente energia accoglieva al suo interno i nostri avi. Il rumore delle pompe idrauliche, lo stridore dei meccanismi infernali, adesso tacciono, posando i ricordi sui mosaici in festa. La modernità ha soggiogato i giorni passati, l'evoluzione onirica e concreta delle umane esigenze ha trascinato come fiume in piena il progresso verso un oceano immenso. E i frammenti di ieri o di una vita fa, vivono le sale dei musei, illuminando di nostalgia gli sguardi ammirati della sensibile gente. Roma, città eterna, tra le tue vie e sulla tua magnificenza si adagiano le mie speranze e le mie malinconie. Non ti si scorda più, ed ogni volta che aspiro la tua aria afosa e poco nitida, mi ricordo di ciò che hai dato al mio benessere. Mi perdevo davanti al tuo splendore e giravo tra gli acquedotti stupendomi ogni giorno della tua grandezza ma rabbuiavo il mio viso di fronte a certi scampoli di miseria e degrado. Però sei sorta vincente e hai conquistato il mondo, ed i reperti d'incanto che sorgono dalla tua terra lo dimostrano. Testimoni diretti di ciò che l'uomo ha fatto dell'uomo: un artista ed un malfattore! "Nulla di grande c'è mai stato che non abbia avuto respiro..." (Seneca)

venerdì 8 maggio 2009

IL RESPIRO DELL'ETNA

Vige scarlatto il tuo respiro
sulla cima del cielo.
Sculture di lava
sorte dal tuo mitologico soffio,
si stagliano tacite sui colori dei campi.

La leggenda posa cristalli di storia
sul cammino del tempo.
L'aria cosparsa d'aromi
s'adagia lenta su petali di nuvole.

Ho indossato ingannevoli ali
per volare da te,
ho attraversato i confini
e solcato i venti.

Sospeso tra frammenti di stelle
e sogni incolti da liberare,
ho viaggiato negli abissi dell'universo,
lungo cupole oscure.

Sui tuoi crateri svanisce l'incanto
e fiorisce il mistero:
cosa celi nell'anima?

Rantola il ferro
nelle tue voragini,
stride l'eco infernale:
forgia le tue armi Efeso,
ma placa la furia dei tuoi sospiri infedeli.

Dorma l'audace guerriero,
domi tremiti e boati.
Esili al tuo cospetto
invochiamo frementi speranze,
affinchè regni sovrano l'eterno silenzio.

LETTURE "DI CUORE E DI VOCE" (19 Aprile)

DI SENECA, TRATTO DALLE: LETTERE MORALI A LUCILIO

Le letture, sono a mio parere, indispensabili, anzitutto per non accontentarmi soltanto di me stesso, poi, quando avrò conosciuto i risultati della ricerca altrui, per valutare ciò che si è scoperto e pensare alla altre cose che rimangono da scoprire. La lettura nutre l’intelligenza e la ristora, certo non senza applicazione, qualora sia affaticata dallo studio. Non dobbiamo limitarci a scrivere né limitarci alla lettura… Si deve riprendere alternativamente questa e quella e temperare l’una con l’altra. Nel coro le voci dei singoli rimangono come nascoste, spiccano le voci di tutti. E così, quando la schiera dei cantori ha gremito tutti i passaggi e l’anfiteatro è attorniato da suonatori di bronzee trombe e dal palcoscenico si è levato all’unisono il clangore di flauti e di strumenti di ogni genere, ecco formarsi da suoni dissimili un insieme armonico. Voglio che tale sia il nostro animo: vi alberghino molte conoscenze specifiche, molti precetti, esempi tratti da molte epoche, ma tutti questi elementi siano fusi armoniosamente in uno solo.

DI GIACOMO LEOPARDI: SCHERZO

Quando fanciullo io venni,
a pormi con le Muse in disciplina,
l’una di quelle mi pigliò per mano;
e poi tutto quel giorno
la mi condusse intorno
a veder l'officina.
Mostrommi a parte a parte
gli strumenti dell'arte,
e i servigi diversi
a che ciascun di loro
s'adopra nel lavoro delle prose e dè versi.
Io mirava e chiedea:
Musa la lima ov'è? Disse la Dea:
la lima è consumata; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca?
Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.

DI ERASMO DA ROTTERDAM, TRATTO DALL’ ELOGIO DELLA FOLLIA
I poeti mi sono altrettanto debitori, benché appartengano indubitabilmente alla schiera dei miei adepti. A loro, tutto è permesso, dato che lo loro fatiche servono solo ad accarezzare le orecchie degli stolti. Tuttavia sul fondamento inconsistente delle loro arti costruiscono mirabili castelli in aria, promettendo a sé e a chi li ascolta l’immortalità e una vita degna di quella degli Dei. Ben più felice è la vita dello scrittore che nei suoi vaneggiamenti si attiene ai miei consigli. Egli non ha bisogno di scervellarsi: basta che scriva quello che gli salta in testa. Non spreca alcuna energia, soltanto qualche foglio di carta. E ha il successo assicurato: quanto più sciocche sono le mattane che scrive, tanto più folto sarà il suo pubblico, formato per l’appunto da folli e stolti.

DI STESICORO (LIRICI GRECI): A ME NON DA' QUIETE

Poi che raramente la Musa
allieta soltanto, ma rievoca
ogni cosa distrutta:

a me non dà quiete il dolce
sonante flauto dalle molte voci
quando comincia soavissimi canti.

DI CATULLO:

A chi dedicherò questo estroso libretto tutto nuovo,
e or ora levigato ai bordi con scabra pomice?
A te Cornelio; infatti solevi attribuire
qualche valore a queste mie bazzecole,
già allora, quando tu solo fra gli italici
osasti narrare la storia di ogni tempo
in tre volumi eruditi e, per Giove laboriosi!
Accetta perciò il contenuto di questo libretto,
qualunque ne sia il valore. Ed esso, o vergine protettrice,
possa vivere perenne, ben oltre una sola generazione.

DI CARMUNU CARUSO: AL POETA

Servi la Musa mentri ca ti chiama
ca si la chiami tu non ti rispunni
'ssicutannu la vai rama pi rama
e non la poi pigghiari e ti cunfunni.
Si tessi senza d'idda la tò trama
non ti veni pirfetta e tu la sciunni
'nveci na 'ddi mumenti ca ti chiama
tannu pò fari tu li cosi funni.

mercoledì 6 maggio 2009

IL CANE DEI VICINI

Il cane dei vicini abbaia solo di notte e nel primo pomeriggio. Non riesco a dormire.
Sto studiando un modo per zittirlo, ma qualcuno mi ha preceduto proprio ieri. I carabinieri cercano un colpevole che ha dato delle polpette avvelenate a quel cane e alla sua padrona!
Infatti non si riesce a capire come può averne mangiato pure lei.
Hanno interrogato anche me, ma sebbene mi sarebbe piaciuto ed ho pensato spesso di farlo, non ho ucciso io quel cane, (non ne avrei avuto il coraggio) né mandato la vecchia grassoccia in coma.
Mi sono stancato di cambiare città. Ne ho girate dodici. Non riesco a stabilizzarmi né a mettere radici. Agli amici cito una frase di Seneca per giustificare il mio pellegrinaggio, ma il fatto è che mi manca dannatamente lei. Quella frase penso starebbe bene incisa sulla mia lapide:
“Non nacque per un solo cantuccio di terra la sua patria fu l’universo intero”. Chissà quando troverò pace, quando verrà saldata la bara e archiviata la mia parentesi terrena. Non so nemmeno se Pitagora o Platone ci hanno azzeccato con quel fatto della metempsicosi. Si reincarnerà la mia anima?
Intanto lei non chiama, né scrive. Questo cellulare è muto come un film di Chaplin. Mi sono rotto, adesso disperdo i miei pensieri sotto il getto dell’acqua calda, anzi prendo una camomilla e faccio un bel bagno.
Perché non chiama la stronza?
Ho finito l’olio per condire, mangerò la pastasciutta solida come un cubo. Mentre lavavo la mela, mi è scivolata e cadendo ha portato con se gli stuzzicadenti che ovviamente si sono sparsi per terra: potrei giocare a shangai!
Mi manca quel cane, mi divertivo a farlo impazzire con la luce laser dei giocattoli cinesi, così in piena notte mi vendicavo, anche se il gelo mi scheggiava la gola.
Chi l’avrà ammazzato?
Devo indagare, tanto questo fine settimana non passa mai, tira pure aria di neve.
Sarà stato il postino, al quale l’altro giorno il cane ha strappato un pezzo di pantalone, rischiando di rosicchiargli un polpaccio?
Può essere. Poveretto già è quattrossa, se l’animale gli staccava il polpaccio non ne restava niente, in effetti prima di fuggire ha minacciato di ucciderlo.
O sarà stato il corriere, al quale fido ha addentato una scatola facendogliela cadere così da mandare in frantumi il contenuto?
Certo lì c’era da mangiare: quel ragazzo sembra un palla! E poi ha imprecato anche lui.
Non ci voleva, mi fa male lo stomaco, mi tocca incollarmi al cesso per un’ora almeno.
Per fortuna che ci sono questi cruciverba, preferisco quelli facili aiutano a liberarsi meglio!
Da che se ne è andata sembro un vagabondo. Mangio schifezze continuamente, lo stomaco sembra una mongolfiera, ed ogni tentativo di sgonfiarla produce tossine di idrogeno solforato!
Ho ripreso a fumare e a bere. Per sfogarmi faccio fuori un pacchetto di sigarette e tracanno due birre.
E tutto per colpa di quel cane.
Ci ha svegliati una notte e totalmente intontito l’ho chiamata col nome di un’altra. Ieri è venuta a prendere i vestiti. Qualcuno mi ha detto che se la fà con l’istruttore della palestra. Non ci credo, e se fosse vero?
Puttana!
Però potrebbe telefonare, almeno ci chiariremmo. Io non sono geloso, ma vendicativo sì. Invidioso e malefico anche. I fantasmi del mio rancore emergono quando sono solo e chiuso tra queste fredde mura. Mi sono svenato per pagare il gas. Lei aveva sempre freddo.
Potrebbe essere stato quel vecchietto che abita qui accanto. L’altro giorno mi diceva che odia gli animali o meglio i cani. Invece ama i maiali, mi ha promesso del salame non appena lo fanno fuori. Aggiungeva al discorso che il continuo abbaiare gli agitava il maiale, che nervoso non mangiava. E se quello non mangia niente insaccati.
Bah, meglio versarsi una birra. Dovrei prendere una camomilla piuttosto, ma sono abbastanza masochista. Adesso la chiamo.
Meglio di no, magari è impegnata... in palestra. Se le scrivo penserà che sono un debole. Che l’ho letto a fare Kierkegaard e il suo maledetto diario di un seduttore?
Trrr trrrr . Ecco di certo è lei, un suo sms, lo sapevo che scriveva. No, non è Debby.
Ma insomma Ilaria non ha proprio capito che non me ne frega niente di lei? Tutte le racchie di questa città mi vengono dietro. Bel casanova che sono! Farebbero follie per divorarmi. E invece l’unica che vorrei è sparita.
Din Don..La porta! Cavolo e se fosse…."Ah Rosalinda, no, mi dispiace non ho prezzemolo".
Al diavolo! Devo togliermela dalla mente, ho il cuore che pare uno stantuffo. Pure i vicini si ci mettono.
A proposito, ma il marito di questa racchia del piano di sopra, sempre freddo e distaccato, anche se è avvocato potrebbe aver ucciso lui il cane. Una notte ho sentito che gli gridava dalla finestra di star zitto.
Non è per niente elementare Watson, per niente. Il caso si complica.
Dannazione mi fa male il fegato. Dovrei smettere di bere. Ma è difficile mollare questa dolcissima birra. Mi sento leggermente inebriato.
L’unica cosa che mi fa ridere sono i decibel dei miei rutti! Ogni volta che ne faccio uno forte, rido da solo, come uno stupido. Che stia per impazzire?
Dimenticala, scordatela, fuori il mondo è pieno di femmine. Però quelle belle cercano uomini ricchi e arroganti, quelle brutte in certe città se la tirano e quelle orrende magari ti fanno gli occhi dolci. Ma esiste la bellezza? Perché sono così maledettamente esteta? Cerco la perfezione.
Ma diamine non esiste. Io vorrei solo che fosse bella, colta, intelligente, servizievole. Che avesse belle mani bei piedi, che non mangiasse aglio, pretendo troppo forse? Debby, lei sì che aveva un alito delicato, mi perdevo nei suoi baci.
Perché sei andata via?
Questa domenica non passa più. Adesso mi metto a stirare, no, non mi va proprio.
Magari mi collego ad internet, no meglio evitare, finirei sempre a visitare siti porno.
Ecco parlo da solo come un matto! Mi ha stregato quella vipera.
Ci sono! Il colpevole è senz’altro il genero della signora. E’ diventato sterile dopo che il cane in un impeto di affetto ha dato un colpo di muso alle parti basse del ragazzo. In effetti ho sentito urlare. Certo se pettinasse meglio quei capelli. Non c’è più la gioventù di una volta. Con quegli orecchini sembra una femmina. E la sua ragazza sembra una capra!
Driin driin. Stavolta è lei lo sento!
“Pronto? Amore, perdonami ti volevo…Come in caserma, ma…ma…non può essere, non puoi essere stata tu..”
“Stai tranquilla chiamo Roberto, ti tirerà fuori lui!”
Maledetto cane!

L'Aquila, 2007

domenica 3 maggio 2009

DI ARENARIE MEMORIE

Di arenarie memorie,
oltre i canneti del tempo,
ho colmato calici iridati.

Deposta la cenere,
dalle paludi sorgono oceani.
Deserti sommersi
emergono come reperti.

Isole di vetro
celano relitti cristallini:
frammenti di cielo
caduti dall'etere.

I miei desideri
solcheranno i canali dei secoli,
nessun argine ne impedirà il fluire.
Attraverso nebulose incantate,
traccerò la rotta del mio cammino.

Riposta la bussola in porto
giungerà la meta anelata,
raccolte le vele,
giaceranno rime incolte
su viaggi dissolti.

COLONI DEL TEMPO

Coloni del tempo,
tra saline di stelle
coglievamo avanzi di vita,
ricordi effimeri di libertà.

Un tenace incarto
su illusioni svanite,
negava onirici sospiri.

L'argano gemeva,
sui logori passi
crepitava la fune
estesa allo spasimo.

L'immane affanno
brandiva le forze,
smarrendo esili brame
su cieli infiniti.