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lunedì 6 luglio 2009

LA NAIA E LA VITA

"Cara burbetta dimmi una cosa cosa facevi tre mesi fa, andavi a spasso con la morosa e non pensavi a fare il soldà..." Canzone militare
Sono passati venti anni giusto oggi dal mio primo giorno di naia. Certi ricordi restano indelebili, specialmente se a distanza di anni vengono ripescati dall’archivio delle memorie con un po’ di nostalgia. Fuggivo da una donna, da colei che avevo amato per la prima volta, la chiamata “alle armi” fu quanto mai opportuna all’epoca. Varcando il portone di quella caserma a Pesaro si entrava in un mondo nuovo, un mondo duro ma affascinante allo stesso tempo. All’arrivo un caporale ci disse che delle quattro Compagnie esistenti la peggiore era la prima. Indovinate a quale delle quattro fui assegnato io? Esatto, la prima! E siccome dovevamo fare il giuramento solenne in piazza del popolo, ci sottoposero ad un addestramento durissimo sotto il sole di luglio. Ma come ogni cosa e per mia fortuna, trovai il lato positivo in quell’esperienza, ed era il fascino della lucina azzurra quando andavi a dormire, quella lucina che cullava i tuoi brevi sogni e indicava che un’altra torrida giornata era volata via, verso un giuramento che pareva non arrivasse mai. La cosa peggiore era fare il piantone alle camerate dalle 2 alle 4 del mattino, fare avanti e indietro e guardare con invidia chi russava beato sotto la sua coperta. O peggio gli incontri per spiegare la composizione degli attrezzi militari e tra tante persone da interrogare chiamando un numero di posto branda a caso, rispondevo io. O ancora la paura e l’insonnia della notte prima del lancio della bomba durante l’addestramento, o tutti i colpi sparati alla sagoma del vicino. Potrei narrare ancora tanti eventi, ma la cosa bella è poter ripercorrerli e sorridere anche dei momenti brutti e di sconforto. Da Pesaro fui assegnato al 184° Battaglione Trasmissione Cansiglio, caserma De Dominicis, (da noi ribattezzata “Dedo”) di Treviso. Con la graziosa cittadina veneta fu amore a prima vista, a lei donai i miei vent’anni e la mia prima emozione da uomo. Dalle cucine alla Fureria, fu un anno indimenticabile. Nelle cucine ero molto apprezzato, ero specializzato in caponate ed insalate; non sopportavo un sergente che gridava sempre, dover pulire la piastra bollente e una macchina per pelare patate che pareva danzasse mentre lasciava correre a terra acqua sporca! Dalla fureria, dove preparavo anche le licenze da far firmare al Capitano, riuscii ad aiutare diverse persone ad andare a casa in momenti particolari. Sotto naia, accadeva di tutto e spesso capitavano emergenze da affrontare al meglio. La cosa più importante è il legame che si stringe con i commilitoni, un legame unico e decisamente fraterno. “Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte, foglia appena nata..” (G. Ungaretti). Per fortuna non eravamo in guerra e se già per il semplice servizio di leva si stringeva un legame così forte, posso solo immaginare in guerra come si diventasse uniti e quanto lacerata potesse divenire un’anima nel vederne un’altra spirare. “E se qualcuno chiedesse perché siamo morti, Dite, per le menzogne dei padri, i loro torti” (R. Kipling). Molti, durante "la leva", non riuscivano ad affrontare la prima prova di maturità, il distacco dalla famiglia, quanta sofferenza allora. E chissà quanta sofferenza poi, perché io credo che il vero “botto” si facesse dopo. Appena iniziava la vita reale. Perché tra quelle mura ed in quella città si passavano momenti di grande spensieratezza. Quando scendeva la notte e terminava la musica triste del “Silenzio”, si levavano voci come pianti a gridare “Finitaa!”. Voci che si rincorrevano tra tutti coloro che avevano terminato l'anno, un eco di gioia e nostalgia. Era arrivato il momento del sollievo, il momento del distacco dai fratelli, un trampolino di lancio verso la vita concreta, verso un’illusione di vita felice. Quando ero lì, mangiavo tantissimo e la domenica pomeriggio dopo un bel riposino, mi svegliava un amico romagnolo col quale andavamo a ballare vicino Treviso, il pomeriggio. Cari splendidi fiori, ardue conquiste, pelli di gelsomino e baci di rosa, dove sarete adesso? Sarete mogli infelici o donne affermate? E tutti voi compagni di cui ho perso le tracce, cosa farete? Il frutto acerbo della giovinezza è maturato. Maturata è la vita ed ogni respiro del suo pulpito. Sottile nostalgia, scuoti forte ogni volta che il pensiero vola, ogni volta che il tenue e dolce ricordo dei giorni perduti ritorna come un treno che sfreccia. “Ritroverai le nubi e il canneto, e le voci come ombra di luna. Ritroverai parole oltre la vita breve e notturna dei giochi…” (C. Pavese)

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