(Tratto da: Il Gabbiano, atto II).
TRIGORIN: Devo andare subito a scrivere. Scusi, non ho tempo... Lei ha toccato, come suol dirsi, il mio lato debole, ed ecco io comincio a turbarmi e ad essere alquanto irritato. Del resto, parliamone pure. Parliamo della mia bellissima, luminosa esistenza... Bene di dove cominceremo? Vi sono delle idee ossessive: quando uno, ad esempio, pensa sempre di notte e di giorno, alla luna, e anch'io ho una mia simile luna. Giorno e notte mi affligge un solo pensiero molesto: io devo scrivere, io devo scrivere, io devo... Ho appena finita una novella, che subito, non so perchè, devo scriverne un'altra, e poi una terza, e dopo la terza, e dopo la terza una quarta... Scrivo senza interruzione... Oh che vita assurda! Sto qui con lei, mi agito e intanto a ogni istante ricordo che mi aspetta una novella incompiuta. Vedo una nuvola simile a un pianoforte. Penso: bisognerà accennare in qualche racconto che fluttuava una nuvola simile ad un pianoforte. C'è odore di eliotropio. Mi imprimo nella memoria: aroma dolciastro, color vedovile, accennarvi nella descrizione di una sera d'estate. Colgo ogni parola, ogni frase, che io e lei pronunziamo e mi affretto a rinchiuderle tutte nel mio deposito letterario: potranno servirmi! Quando finisco un lavoro, corro a teatro o a pescare, potrei riposarmi, dimenticare, e invece nella mia testa già rotola una pesante palla di ghisa un nuovo soggetto, e già mi attira il mio tavolino, e bisogna affrettarsi daccapo a scrivere e scrivere. E così sempre, sempre, e non ho pace da me stesso, e sento che sto consumando la mia esistenza, e che, per dare del miele a qualcuno nello spazio, io rubo il polline ai miei fiori migliori, li strappo e ne calpesto le radici. [...] In quegli anni, negli anni migliori, in quelli della giovinezza, quando io cominciavo, lo scrivere era per me un continuo supplizio. Uno scrittore esordiente, specie se non ha fortuna, si crede goffo, maldestro superfluo, ha i nervi tesi, irritati; gironzola infrenabilmente attorno a persone partecipi della letteratura e dell'arte, misconosciuto, non osservato da alcuno, temendo di guardar fisso e con audacia negli occhi, come un giocatore accanito, che non abbia denaro. Io non vedevo il mio lettore, ma non so perchè alla mia fantasia egli appariva malevolo, diffidente. Temevo il pubblico, mi faceva paura, e, quando mettevano in scena una mia nuova commedia, mi sembrava ogni volta che i bruni mi fossero ostili e i biondi gelidamente indifferenti. Oh, che cosa terribile! Che supplizio! [...] Il peggio è che sono in uno stato di ebbrezza e spesso non capisco quello che scrivo... Amo quest'acqua, gli alberi, il cielo, sento la natura, essa suscita in me la passione, l'invincibile desiderio di descriverla. Ma non sono soltanto un paesaggista, sono anche un cittadino, io amo la patria, il popolo, io sento che, come scrittore, ho il dovere di parlare del popolo, delle sue sofferenze, del suo avvenire, di parlare della scienza, dei diritti dell'uomo e di cose simili, ed io parlo di tutto, mi affretto, da tutti i lati mi spronano, si impermaliscono, io mi dimeno da un alto all'altro, come una volpe braccata dai cani, vedo che la vita e la scienza vanno sempre più avanti, mentre io resto indietro, indietro, come un contadino che ha perduto il treno, e alla fin fine sento che so descrivere solo il paesaggio, e in tutto il resto sono falso, e falso sino al midollo.
COSI' INVECE SCRIVEVA CECHOV SULLA SUA OPERA:
"...Sto scrivendo un lavoro teatrale, che terminerò anche, probabilmente, non prima della fine di novembre... E' una commedia, ci sono tre parti femminili, sei maschili, quattro atti, un paesaggio (veduta sul lago); molti discorsi sulla letteratura, poca azione, tonnellate di amore. [...] Il mio lavoro teatrale va avanti, per il momento tutto procede tranquillamente, anche se non so cosa ne uscirà poi, alla fine.. Probabilmente a causa della Piéce le mie intermittenze cardiache si sono fatte più frequenti, prendo il sonno tardi e in generale mi sento piuttosto male...[...] Ebbene, ho finalmente terminato il mio lavoro teatrale. L'ho cominciato forte e l'ho finito pianissimo contro tutte le regole dell'arte drammatica. Ne è uscito un racconto. Sono più scontento che contento e, leggendo questo mio lavoro appena venuto alla luce, mi convinco ancora una volta di non essere affatto un drammaturgo...."
A TUTTI GLI AMICI SCRITTORI...
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