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lunedì 31 agosto 2009

LUNGO SENTIERI INCANTATI

“…Osservare come questa regione, in tutti i particolari interessante, si sprofondava a poco a poco nelle tenebre, è stato spettacolo di una bellezza indicibile… (Goethe, da “Viaggio in Italia”)
Ho navigato lungo i sogni che i paesaggi incantevoli dell’antica Trinacria mi hanno donato. Ho colto ogni singola emozione che sorgeva dai suoi tramonti. Ho mostrato la mia terra a chi la conosceva poco. Con forza ho desiderato far vedere tutto ciò che di bello e incontaminato la natura regala. Ho cercato di coprire le piaghe, le crepe malefiche di questa terra, invogliando a guardare lontano e a non soffermare lo sguardo sui rifiuti che si ergevano fetidi tra scogli e su rive un tempo incantate. Ho minimizzato il furto della mia macchina avvenuto in quei giorni; e ironizzato sull’avventarsi dei posteggiatori abusivi. Oltre questo però ho riammirato e riamato i sussurri dei suoi mari. Tra Tirreno Ionio e Mediterraneo, immerso i miei pensieri in limpide acque. Mi sono stupito ancora una volta davanti i teatri antichi e i parchi archeologici, commosso davanti al tempio di Atena inglobato nel duomo. Nuvole e tramonti si stagliavano maestosi davanti alla mia debolezza, le impalcature dei miei problemi crollavano pavide dinanzi a tale splendore. Avrei voluto divenire eremita e richiudermi in luoghi solitari pregni di storia e dedizione.
“…Salito sul ponte, io guardai al firmamento cristallino e vidi una bianca curva seguirlo fino a un punto che sembrò lo Zenit. Allora chiesi che fosse mai quello che gli occhi scoprivano. Mi fu risposto: ‘E’ l’elevazione dell’Etna che si inarca per adattarsi alla curva del cielo’. Illusione? Realtà? Posso solo dire che non mai più dimenticato quella straordinaria visione” (B. Berenson da “Viaggio in Sicilia”)
L’Etna ci ha regalato splendidi colori e terribili temporali. Correre lungo i suoi crateri con i tuoni che facevano tremare il cielo è stata un’emozione unica. Immaginavo tremende eruzioni e lapilli che sfrecciavano in alto soffiati via da Tifeo, sempre infuriato. Il Mongibello, così spavaldo e sornione, ma così terribile e beffardo, ero briciola nell’universo a confronto. Pochi tratti di strada e la montagna diveniva mare ove le fitte trame del sole riflettevano cristalline speranze. Ho inspirato il vuoto ed il cielo, i fiori e la salsedine. Ho chiuso gli occhi e lasciato correre fremiti lungo la mia anima. Un’estate ricca di visioni. Alba e tramonto, storia e cultura hanno attraversato la calura dei sensi. Picchiava il sole sui desideri e la brama di acqua pura veniva sedata alla limpida fonte di Noto Antica. I sapori esordivano leggeri per esplodere nel palato e nell’anima, gli zuccheri lenivano, la frescura liberava sorrisi. Mentre lunghe passeggiate e impervie scalate accompagnavano la meraviglia della scoperta. Il desiderio di restare d’incanto anche solo per un attimo di fronte le magie di questa natura selvaggia e sublime. Ho vagato esule tra le tue vanità, cercando tesori e illusioni. Terra di nostalgia e ricordi lontani, terra sinuosa e splendente come le splendide dee che in te sospirano sotto i miei occhi. Ingannevoli danze, incorporee illusioni, fremiti d’estasi effimera e densa. Terra di musiche intense e uniche che scandiscono note sulla nascita del crepuscolo errante. Ho colto i diaframmi della tua esistenza, quando ero via mi mancavi terribilmente: spiegami perché. Adesso che sono qui a volte ti odio e a volte ti amo con tutto me stesso, con tutti i respiri che mi appartengono e tutta la vita che finora ti ho dato. Perché ti amo così tanto, dimmi dunque mia splendida terra, perché? Sei aculeo dorato, sei magica spina, frusta che carezza, sei immenso ed eterno ed io ti vivo, si ti vivo bevendo ogni tuo singolo sospiro. E’ nulla la mia parola, è nulla il mio pensiero e la mia commozione. Tutto ti è schiavo: ti appartiene l’orgoglio e con esso ogni mia singola emozione è per te e su di te sorge e spira. Sorge e spira, adesso, domani e sempre.
E quel gettarmi alla terra, quel gridare alto il nome nel silenzio, era dolcezza di sentirmi vivo” (S. Quasimodo)

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