"Ma udite la miseria dei mortali prima, indifesi e muti come infanti, e A cui diedi il pensiero e la coscienza. Parlerò senza biasimo degli uomini, ma narrerò l'amore del mio dono.
Essi avevano occhi e non vedevano, avevano orecchie e non udivano, somigliavano a immagini di sogno, perduravano un tempo lungo e vago e confuso, ignoravano le case di mattoni, le opere del legno: vivevano sotterra come labili formiche, in grotte fonde, senza il sole; ignari dei certi segni dell'inverno o della primavera che fioriva o dell'estate che portava i frutti, operavano sempre e non sapevano, finchè indicai come sottilmente si conoscono il sorgere e il calare degli astri, e infine per loro scoprii il numero, la prima conoscenza, e i segni scritti come si compongono, la memoria di tutto, che è la madre operosa del coro delle Muse.
[...] Mille cose inventai per i mortali, e ora, infelice, non ho alcun ordigno che mi affranchi dal male che mi preme... Se uno s'ammalava non aveva difesa, cibo, unguento, bevanda: si estingueva senza farmachi, finchè indicai benefiche misture che tengono lontano tutti i morbi... E primo giudicai quali vere visioni porta il sogno, svelai le oscure voci dei presagi, i profetici incontri sui cammini... guidai i mortali ad una conoscenza indimostrabile, e aprii i loro grevi occhi velati ai vividi presagi della fiamma. Questo io feci... Sappilo in breve tutto ciò che gli uomini conoscono proviene da Prometeo.
[...] Non è più parola. La terra trema. E' l'urlo cupo sordo del tuono, il bagliore del lampo, il vortice del fuoco, turbina polvere, i venti si lanciano violenti, in lotta aperta, cielo mare sconvolti. E' la mano di Zeus su di me, visibile, viene: io tremo.
Guardate, tu santità di mia madre, tu cielo che volgi la luce del mondo: quello che soffro è contro la giustizia..."
(Eschilo, da "Prometeo incatenato")
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